Moderatore: Salvatore MAZZOLA, Direttore dell’Istituto per l’Ambiente Marino e Costiero del CNR – Volevo ringraziare il Dottor D’Alessandro per la quantità di spunti che ci ha fornito e che probabilmente riprendere verso la conclusione. Adesso volevo dare la parola al Dottor Fabrizio Cobis che è l’Autorità di Gestione del Programma, del PON. Intervento: Fabrizio COBIS, Dirigente Ufficio VII - Programmi operativi comunitari - Autorità di Gestione PON Ricerca e Competitività 2007-2013 - MIUR - Grazie Salvo, di nuovo un saluto a tutti e un ringraziamento per questa occasione che abbiamo oggi di svolgere alcune riflessioni e anche alcune considerazioni su quanto sinora sviluppato e quanto c’è da fare nell’immediato in prospettiva nell’utilizzo dei Fondi strutturali e del PON Ricerca ma anche, più in generale, delle Politiche di sviluppo per il Mezzogiorno. Io faccio l’Autorità di Gestione, sono incaricato meno di un anno e in questo anno ho avuto la possibilità fortunata di occuparmi di una materia sicuramente molto stimolante, molto entusiasmante che si traduce in poche, banali, espressioni avere tanti soldi a disposizione e vedere come poterli utilizzare al meglio. Se guardo soltanto al PON Ricerca e Competitività sappiamo tutti che abbiamo una dotazione di risorse davvero significativa sono 6 Miliardi e 200 Milioni di Euro per il periodo 2007-2013 divisi sostanzialmente in modo uguale tra Miur e il Ministero dello Sviluppo Economico, quindi un’opportunità finanziaria per le quattro Regioni della Convergenza, Sicilia, Puglia, Calabria, Campania che è davvero considerevole. Questo però mi dà anche lo spunto di svolgere qualche riflessione immediata. Se noi guardiamo alle politiche per il Mezzogiorno, alle azioni di sviluppo per il Mezzogiorno, quello che non è mai mancato al Mezzogiorno dall’Unità di Italia ad oggi, direi è la disponibilità di Fondi pubblici, le risorse nazionali o comunitarie che sono, a vario titolo, state messe a disposizione e arrivate nei territori del Mezzogiorno sono di un volume assolutamente significativo e davvero notevole. Eppure, abbiamo delle oggettive considerazioni che dobbiamo svolgere, non dico nulla di straordinario se mi accorgo che il divario di sviluppo tra il Mezzogiorno e il resto dell’Italia è immutato, il gap e la distanza che caratterizza le condizioni socioeconomiche del Mezzogiorno rispetto al resto dell’Italia è ancora molto pesante, il divario del PIL procapite tra le Regioni del Mezzogiorno e quelle del Centro Italia oggi è ancora quello dell’inizio degli Anni Sessanta, le condizioni occupazionali soprattutto se guardo ai giovani e al mondo femminile è particolarmente difficile nel Mezzogiorno. I contesti sociali in molte aree sono discretamente degradate ne abbiamo evidenza oggettiva sotto i nostri occhi. La qualità e la quantità dei servizi pubblici erogati ai cittadini è sicuramente inferiore a quella degli altri Paesi, la dotazione di risorse infrastrutturali è ancora insufficiente e potrei continuare probabilmente per tutta la giornata. Quindi, evidentemente, si deve aprire una riflessione sugli indirizzi programmatici che devono essere individuati nell’utilizzo di una così importante mole di risorse, giustamente è stato detto le poche e grandi priorità. Noi oggi abbiamo una logica di Politiche dello sviluppo attribuita ai Programmi Nazionali e regionali che grosso modo si sostanzia in una sommatoria di programmi, uno accanto all’altro, che però non riescono a incidere in modo determinante sulle condizioni strutturali di tipo sociale ed economico del Mezzogiorno e tutto questo non fa altro che allargare il divario non soltanto del Mezzogiorno rispetto al resto dell’Italia ma anche nel confronto con gli altri Paesi, soprattutto dei Paesi di nuovo ingresso, che aggrediscono i Fondi europei in un modo diverso e accelerano nel raggiungimento di standard e di condizioni e di performance comparabili a quelli del resto d’Europa. Noi siamo oggi all’inizio del 2011 quindi siamo, grosso modo, alla metà del percorso della Programmazione 2007-2013 e abbiamo, se guardo al PON Ricerca ma credo anche altri su molti dei Programmi Nazionali e Regionali, ancora molte risorse da programmare di cui decidere l’utilizzo. Vale la pena farsi una domanda se bisogna continuare nello stesso identico modo degli ultimi 30 anni, non è neanche una questione di questo o di quel Governo alla guida del Paese, oppure recepire quelle che sono le indicazioni che arrivano dalla Commissione Europea quando l’Unione Europea ci parla degli obiettivi “Europa 2020”, la crescita intelligente, inclusiva e sostenibile, le poche priorità su cui investire risorse, lancia un messaggio, una sfida che è drammatica per il nostro Paese su cui il nostro Paese forse ha grandissime difficoltà nel rapportarsi perché noi viviamo, purtroppo, di logiche eccessivamente localistiche, di logiche eccessivamente individuali, la capacità di organizzare, di ordinare, di rendere organico un intervento complessivo per il Mezzogiorno, è molto complesso. Credo che noi dobbiamo sfruttarla al meglio questa occasione, non possiamo permetterci di arrivare alla fine del periodo di Programmazione e renderci conto che gli effetti e i risultati sono di fatto nulli. Viviamo per altro una situazione nel nostro Paese che è particolarmente anomala che è quella di un’estrema frammentazione e polverizzazione dei centri decisionali e non parlo soltanto di Ricerca e Innovazione dove questo è del tutto evidente di Ricerca e Innovazione nel nostro Paese si occupa il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca e tutti i Ministeri di settore, ogni Regione ha le sue risorse e le sue competenze e tutto questo è corretto in una logica di sussidiarietà, di federalismo, di distribuzione corretta di competenze eppure non riusciamo a far integrare questi interventi, a far interagire questi interventi. Troppo spesso prevalgono le tentazioni di rispondere in modo autosufficiente ad un’esigenza e dimenticando che, forse, scelte di approcci più integrati, tra politiche nazionali e regionali ma tra tutte le Politiche di sviluppo sono fondamentali e irrinunciabili in questa fase. Si sta accennando alla nuova stagione di Programmazione 2014 e xy e però l’allargamento dell’Unione Europea sta determinando una riduzione delle disponibilità per nostro il Mezzogiorno, quelle che una volta erano le 8 Regioni del Sud sono diventate 6 poi 4, chissà se rimarranno queste quattro. Non perché le Regioni che escono da quello che oggi è l’Obiettivo Convergenza sono diventate miracolosamente più benestanti ma perché nel confronto con chi è più in difficoltà veniamo penalizzati. Quindi a tutti i livelli nazionale e locale dobbiamo, forse, renderci conto che abbiamo l’opportunità e l’esigenza davvero questa volta di dare un’inversione forte alla Programmazione e all’utilizzo di queste risorse. Dobbiamo decidere una volta per tutte che se si fa Politica di sviluppo in un Paese tutti gli attori e tutte le politiche regionali, nazionali debbono convergere verso quell’obiettivo per ridare alla parola Politica di Coesione la sua missione fondamentale che è quella di garantire dei tassi di crescita superiori nel Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia. La Politica di Coesione oggi è trattata più come una forma di risarcimento piuttosto che di opportunità vera di sviluppo e questo vale quando parliamo di Ricerca e Innovazione nel rapporto tra Amministrazioni centrali e regionali, ma vale anche per tutte le Politiche di sviluppo. Io faccio degli esempi molto banali ma che poi ci danno il segno: se la Campania ha un ‘leggero’ problema di gestione dei rifiuti, mi pare che ci sia un leggero problema, è un elemento quello che ha a che fare sicuramente con lo sviluppo del territorio, con la crescita competitiva del territorio. La mia attenzione è stata attirata da una notizia che ho letto ieri sul giornale, poi del giornale leggo più o meno soltanto le pagine sportive perché tanto ho un ambito intellettuale limitato! Ma c’è una squadra di calcio del Mezzogiorno che lamenta che non riesce ad ingaggiare i calciatori perché le famiglie non vogliono andare a Napoli per il problema dei rifiuti, è un esempio banale però è un segnale, ha a che fare con la capacità competitiva di quel territorio quest’aspetto, sicuramente ha a che fare. Allora, probabilmente, noi ci dobbiamo chiedere parlando a noi stessi, quando parliamo di ricerca e innovazione, se possiamo, e come possiamo, mettere il nostro intervento a sostegno delle attività di ricerca e innovazione al servizio di queste esigenze. La ricerca e l’innovazione, secondo me, non hanno altro che questa funzione di essere di servizio alla risoluzione di problemi piccoli o grandi che siano. Quando parliamo di concentrare le risorse su poche, grandi priorità, la domanda immediatamente sorge spontanea: come si selezionano le priorità, chi decide quali sono le qualità da scegliere? La decisione è semplice, non è complessa perché i grandi temi, le grandi preoccupazioni sociali le conosciamo, le grandi sfide che il mondo di oggi sopporta: il cambiamento climatico, la qualità dell’alimentazione nel tema della sicurezza alimentare, la progressiva diminuzione di disponibilità di materie prime, il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione quindi con tutti gli aspetti che hanno a che fare con la salute e la qualità della vita, sono preoccupazioni,le chiamano grandi preoccupazioni sociali, che riguardano tutti noi, riguardano tutti questi territori a cui si aggiungono poi le grandi esigenze locali, le grandi esigenze che vengono espresse dal territorio. Ho richiamato prima il tema della gestione dei rifiuti a Napoli, se piove e crolla Pompei, o alcune parti di Pompei questo ci chiama in causa, se la situazione idrogeologica di alcune, vaste zone del Mezzogiorno è quella che è … bastano alcune piogge più pesanti e si creano problemi anche drammatici per la popolazione, questi sono i temi che hanno a che fare con la crescita e lo sviluppo di un paese. Richiamavo prima il discorso della condizione, dell’occupazione qualificata di giovani e di donne, il problema quindi dei talenti, dei cervelli, non c’è politica di sviluppo, non c’è prospettiva di crescita se non si danno opportunità importanti ai giovani di qualità, ai giovani di valore, ai talenti come li chiamano in altri termini. Questo dibattito viene spesso ridotto colpevolmente ad un discorso banale di fuga dei cervelli. I nostri cervelli che emigrano, premesso che molti cervelli che emigrano chiederei anche di portarsi dietro il corpo, che spesso rimane qui a far danno nel nostro Paese, ma il tema è mal posto a mio avviso. L’Italia non ha un problema di fuga dei cervelli, ma di bilanciamento dei cervelli. Il giovane di talento, colui che lavora in ambito creativo come viene detto sia esso un ricercatore o, comunque, una persone che usa la conoscenza come suo elemento di competizione, per sua natura è portato a muoversi, a cercare opportunità. Nel nostro caso, e credo che la situazione del Mezzogiorno sia ancora più grave, i nostri migliori giovani non vanno via per curiosità, ma per disperazione, vanno via per non tornare mentre altri paesi, pensiamo alla Cina, al Sud-est asiatico hanno fatto della mobilità dei giovani la loro arma vincente, hanno mandato in massa giovani e giovanissimi a studiare in Occidente con l’obiettivo di tornare e di mettere a disposizione del loro sistema economico le conoscenze acquisite all’esterno. Oggi i tassi di crescita della Cina dei Paesi del Sud-est asiatico sono in gran parte il frutto di quelle politiche, il livello di know-how delle produzioni che arrivano da quei paesi è incommensurabile, non è un problema che copiano meglio i nostri prodotti o pagano poco la mano d’opera che, comunque, è un dato che esiste ed è un fattore di concorrenza sleale pesante, ma non è soltanto quello è un alibi se si riduce il discorso a quest’aspetto. Le politiche che, negli ultimi anni, ha fatto la Cina di iscrizione dei giovani diplomati alle facoltà tecnico scientifiche nelle loro università è stato impressionante. Noi oggi abbiamo nel nostro Paese per un iscritto a Fisica, dieci che si iscrivono a Scienze della Comunicazione, va bene perché probabilmente c’è più prospettiva nel fare il presentatore televisivo o la velina e le notizie ce lo confermano, evidentemente, fare il calciatore è molto più semplice. Però questa non è Politica di sviluppo, politica che sa guardare al di là dell’immediato, dell’esigenza molto spesso elettorale che caratterizza una scelta, certamente non è una strategia a lungo termine che può garantire qualche risultato. Io ho visto che negli ultimi giorni il Governo ha adottato quello che viene chiamato il documento programmatico per il Sud, una delle cinque priorità che il Governo si è dato, e lì trovo onestamente, e dico onestamente non perché faccio parte di un Ministero che pure mi costringerebbe ad essere di parte, ma trovo dei segnali importanti, trovo in realtà per la prima volta una consapevolezza di questa esigenza, dell’esigenza del superamento di logiche individuali, anche a livello istituzionale ma della necessità di integrare con approcci diversi le politiche e quindi le risorse. Trovo questo una dichiarazione di principio importante ma molto difficile da attuare, perché poi conosciamo tutti le difficoltà di far convergere scelte, azioni, politiche, risorse, su qualcosa che vada al di là dell’interesse della singola Istituzione. Eppure, il tentativo va fatto, io posso parlare pure fino a domani pomeriggio, finché non vedo le persone in piedi che svengono, io continuo a parlare, anche perché sono preoccupato per chi sta in piedi perché mi preoccupo per la loro salute, però è una soddisfazione perché vuol dire che c’è un interesse, l’importante è che non ci siano problemi di ordine pubblico al riguardo. Se guardiamo al nostro ambito più limitato, limitato per modo di dire sei Miliardi di Euro non sono uno scherzo, PON Ricerca e Competitività. In quest’anno il PON Ricerca è partito definitivamente, dopo una serie di ritardi e di lentezze di vario tipo e abbiamo in questo anno attivato due importanti azioni, il Bando di Ricerca industriale dello scorso Aprile e poi, e lo sottolineo con particolare rilievo, l’Avviso dei Distretti Tecnologici e dei Laboratori pubblico privati. Due iniziative importanti perché contengono al loro interno alcuni di questi spunti che stiamo descrivendo. Il Bando per la Ricerca industriale per la prima volta parla di ‘costellazione di progetti’, parla della possibilità che più progetti possano integrarsi tra di loro per perseguire un determinata finalità. Non è irrilevante il tema perché è un concetto nuovo, spesso il bando si risolveva in una mole enorme di progetti, prima o poi, più poi che prima si arriva alla selezione di questi progetti, più poi che prima si arriva all’erogazione … poi parlerò dei problemi burocratici che conosco e non mi astengo dal citarli. Però il tentativo che anche quando si parla di innovazione industriale si possano integrare idee, soluzioni ed individuare un obiettivo da perseguire in modo coordinato è un elemento che caratterizza quel Bando e lo caratterizza rispetto all’esperienze passate. Se poi guardiamo al Bando uscito da poco che sta attirando anche molta attenzione, qui ritroviamo totalmente tutti questi concetti e questi principi, un Bando di dimensioni importanti il potenziamento e sviluppo di Alta tecnologia e Laboratori, 915 Milioni di Euro, di questi tempi è un intervento corposo, ma è importante non soltanto da un punto di vista della dimensione finanziaria ma perché concentra l’attenzione su un tema fondamentale di tutto il PON Ricerca e Competitività, di tutta una politica di ricerca nuova e competitiva. Ossia si concentra su un modello d’intervento che è quello del Distretto di Alta Tecnologia, noto in altri paesi con i nomi di cluster knowledge e di poli di competitività francesi che anche questo Paese ha abbracciato da qualche anno e che cerca adesso di razionalizzare e di potenziare. Perché è un modello di intervento importante? Perché questo ha a che fare con logiche di innovazione e processi di innovazione completamente diversi rispetto a quelli che siamo stati abituati a vivere fino ad ora. Il tema fondamentale del Distretto tecnologico è il rapporto tra pubblico e privato, tra ricerca pubblica e mondo delle imprese che è un tema da sempre importante soprattutto quando parliamo dell’economia di conoscenza, la capacità di produrre conoscenza e di trasformarla in un valore economico è un dato oggettivo e super noto. Oggi però abbiamo l’esigenza di trattare questo tema in modo diverso rispetto al passato. Le dimensioni globali dell’economia, non soltanto hanno riconfermato il ruolo dell’innovazione, più l’economia è globale, più è importante l’economia della conoscenza, più è importante arrivare sul mercato con prodotti di qualità ad alto valore aggiunto, ma il dato fondamentale che deriva dalla dimensione globale dei mercati è che bisogna arrivare prima degli altri sul mercato. Non basta più produrre conoscenza e trasformarla, occorre farlo in modo veloce, velocissimo, prima dei concorrenti e quindi non basta più mettere in dialogo ricerca pubblica e mercato, impresa, occorre metterli in congiunzione, avvicinarli anche fisicamente. Il motivo per cui io ho sempre qualche difficoltà a parlare del concetto del trasferimento tecnologico che mi dà sempre l’idea di qualcosa di lento che qualcuno produce e poi qualcun altro porta a sviluppare, è passato, si deve parlare di simultaneità della trasformazione. Chi produce conoscenza deve in qualche modo essere poi condizionato da chi questa conoscenza la deve trasferire, così come chi la trasferisce deve essere stimolato da chi la produce quindi l’avvicinamento anche fisico è la carta vincente su cui, oggettivamente, un’intera Politica di sviluppo basata sulla ricerca e sull’innovazione deve fondarsi. Se noi conveniamo su questo scenario, dobbiamo prendere atto di tutta una serie di conseguenze che derivano da questo. Se è vero che la produzione della conoscenza e la trasformazione avvengono in modo simultaneo, allora dobbiamo renderci conto che i confini tra ricerca di base e ricerca applicata, concetti di tanto tempo fa, sono ormai sfumati. Non è più vero che l’innovazione procede dalla ricerca di base, passa dalla ricerca applicata e va al mercato ma avviene anche il contrario il meccanismo. Giustamente si dice che non avviene più un processo lineare dell’innovazione ma si parla di processi circolari dell’innovazione, dove le interazioni e le contaminazioni sono continue ecco perché prendono piede si affermano settori dal carattere interdisciplinare, le biotecnologie, la bioinformatica dove la contaminazione di discipline diverse costituisce la risposta articolata a domande complicate, a esigenze complesse che arrivano dall’esterno e su questo occorre rendersi conto che cambia la natura e il ruolo dei soggetti che agiscono nei processi d'innovazione: parliamo delle imprese, delle università e delle Istituzioni di Governo che sono attive, evidentemente, nei processi d'innovazione, hanno una natura e un ruolo estremamente diverso rispetto al passato. Le imprese si caratterizzano per il fatto di non essere più, tra virgolette, verticalmente integrate che hanno al loro interno i grandi laboratori di ricerca, sviluppano ricerca e producono prodotti al loro interno ma si aprono, entrano in collegamenti, entrano in network, abbracciano concetti che chiamano dell'open innovation e non di un'azione chiusa. Decine di anni fa la Procter & Gamble cambiò la sua strategia di ricerca sulla base di una banale consapevolezza: al mio interno ho 1000 ricercatori, fuori ce ne sono 6 Milioni ed è con quei 6 Milioni che vado a ragionare non soltanto con i 1000 che ho al mio interno. Quando si parla del grande successo della Apple con i suoi prodotti che tutti noi utilizziamo, il dato è quello: la capacità di entrare in collegamenti con i centri di ricerca, con chi fa innovazione all'esterno. C'è un 'dare e avere' tra idee e sfruttamento che è la fortuna delle aziende più dinamiche e più importanti anche le università cambiano natura. Mi rendo conto che questi giorni parlare di nuova missione dell'università provoca dibattito però è un dato oggettivo, accanto alla didattica e alla ricerca, le università devono rendersi conto che hanno un'altra missione che è quella di partecipare allo sviluppo socio-economico di un territorio e quindi dare una valorizzazione ai risultati della loro ricerca e assumere quella che viene chiamata la natura di università imprenditoriale ma non con un'accezione negativa perché i risultati debbono poi trasformarsi in valore economico, in nuovi prodotti, in nuove aziende e l'università ha un ruolo fondamentale da questo punto di vista e se non entra in questa logica rischia di rimanere poi emarginata da tutte le logiche dei processi che si attuano in questo momento. Questo contesto chiama in causa anche le Istituzioni di Governo siano esse locali o nazionali, i Ministeri, le Regioni non hanno più il ruolo di semplici finanziatori della ricerca, quando possono e quando riescono a finanziare in tempo decente le attività di ricerca, ma devono rendersi conto che il loro ruolo cambia, devono partecipare alla costruzione delle condizioni di contesto favorevoli a questo incontro. Io per anni, in una vita diversa, ho seguito la legge nazionale sulla ricerca industriale la 297 del '99, seguita è un'espressione minimale, ho dato il mio pessimo contributo e ricordo a tutti che lì c'è una norma che è esemplificativa di tutto il discorso che stiamo facendo, c'è la norma che favorisce la nascita di spin-off dalla ricerca pubblica, ok? La possibilità per i ricercatori pubblici di far uscire la propria idea e farla diventare un'impresa innovativa. La legge del 1999, attuata nel 2000 e, per la prima volta, nel 2000 si è messo a disposizione qualche soldo per fare questo tipo di operazioni, il MIT di Boston, la prima legge sullo spin-off in America, l'hanno avuta nel 1930, il Bayh-Dole Act in America sulla valorizzazione della proprietà intellettuale dei ricercatori è del 1980, '82 credo o qualcosa del genere. La legge italiana sulla proprietà intellettuale delle idee di ricerca, dei ricercatori, è di 20 anni dopo quindi anche questo segna il divario, però ecco questo vuol dire favorire le condizioni di contesto anche da un punto di vista normativo eliminare gli ostacoli che favoriscono il dialogo, l'incontro tra produzione di conoscenza e sua trasformazione, eliminare gli ostacoli e favorire il dialogo e l'incontro: il Distretto di Alta Tecnologia è esattamente questo. Il Distretto di Alta tecnologia è lo sforzo congiunto di Amministrazioni centrali e locali in una giusta ottica di collaborazione e di sussidiarietà per cui s'individuano vocazioni tecnologiche di un determinato territorio perché su quella specializzazione tecnologica, e sottolineo tecnologica perché troppo spesso si fa confusione tra Distretto di Alta Tecnologia e Distretto industriale, troppo spesso. Specializzazione tecnologica, competenze pubbliche e private presenti su quella specializzazione e su quel territorio che vengono aggregate, vengono unite in quella logica di avvicinamento che dicevo prima perché ci si rende conto che lo sviluppo tecnologico e quindi orizzontale a beneficio di una pluralità di settori industriali, in qualità di esigenze sociali ed economiche è il modello di sviluppo corretto da seguire e questo è il principio fondante dell'Avviso per il Potenziamento dei Distretti e Laboratori che abbiamo pubblicato adesso. Il riconoscimento dell'importanza di questo modello d'intervento, il riconoscimento che probabilmente ci siamo fatti un po’ prendere la mano da questa volontà di creare Distretti tecnologici: oggi in tutto il territorio nazionale, io conto 34 Distretti che si autodefiniscono Distretti Tecnologici. Se io parlo di tecnologie abilitanti, tecnologie orizzontali, faccio fatica ad andare oltre le 5/6, in letteratura ci sono questi, non 34 Distretti. Faccio fatica in molti di questi Distretti ad individuare la differenza con un Distretto industriale, mi rendo più conto che, probabilmente, basta che due o tre soggetti di un certo peso si mettono insieme ed è un modo per attirare soldi in un determinato territorio e questo colpevolmente si è lasciata questa deriva, colpevolmente anche da parte del Ministero, soprattutto da parte del Ministero che aveva, invece, in mano uno strumento utilizzato bene all'inizio e poi un po’ sprecato. Qui cerchiamo di ritornare un po’ sui nostri passi per capire innanzitutto quali dei Distretti di Alta Tecnologia e dei Laboratori pubblico-privati che sono presenti nei territori delle quattro Regioni meritano di essere conservati e quindi anche potenziati. Ci sono dei criteri, degli elementi che vogliamo evidenziare e su questi vogliamo andare a potenziare. Il Distretto deve avere, innanzitutto, una natura - è un'espressione che si usa spesso - glocal: globale e locale cioè parte dal territorio, guarda agli orizzonti tecnologici nazionali, internazionali e riporta al territorio i risultati. Distretti di Alta Tecnologia con azione o respiro, esclusivamente regionale, temo non abbiamo un grande futuro nella nostra idea di politica. Occorre fare massa critica quindi occorre aggregare quelle competenze che ci sono. Il Bando che è uscito si apre con una fotografia degli attuali Distretti e Laboratori, attuali perché sono quelli in corso di finanziamento che in qualche modo il Ministero ha riconosciuto fino a questo momento, io trovo in molti casi un'identità di soggetti che partecipano sia ai Distretti, sia ai Laboratori, tematiche molto affini, confinanti se poi allargo lo sguardo dai Distretti ai Laboratori e guardo ai Centri di Competenza, ai centri di eccellenza, ai Parchi scientifici ho una numerosità di forme aggregate che non sono utili allo sviluppo del territorio. Occorre uno sforzo di aggregazione, di avvicinamento, vorrei arrivare alla fine di questo Bando che nel Mezzogiorno ho 4/5 grandi luoghi tecnologici di qualità perché hanno attivato competenze e risorse del territorio perché in quel modo quella aggregazione diventa anche una calamita importante per le competenze esterne perché quando su quel territorio c'è una massa critica importante, competitiva su un determinato settore tecnologico allora si riesce ad essere attrattivi rispetto ad investimenti esterni, industriali o di ricercatori. Questa è la natura del bando, io lo dico continuamente: il Bando Distretti e Laboratori non è l'ennesima occasione per finanziare Progetti di ricerca, finanzieremo Progetti di ricerca perché la 297 è lo strumento di attuazione importante stiamo parlando di un concetto d'innovazione diverso in questo Bando. Innovazione vera e proprio l'abbiamo trattata con il primo Bando, qui parliamo di innovazione territoriale cioè della capacità di creare condizioni di contesto attraverso competenze di ricerca e innovazione che siano utili al mutamento strutturale. Ecco io quando sento parlare di Fondi strutturali, la parola strutturale io non la intendo nel senso che devo fare la struttura, il laboratorio, io devo intervenire in modo strutturato e strutturale sulle condizioni economiche e sociali di quel territorio in modo stabile. Ecco perché abbiamo voluto che i nuovi Distretti o quelli che verranno dal potenziamento garantiscano di rimanere tali e attivi per cinque anni dalla fine del Progetto. Abbiamo detto che debbono convincerci che perseguono logiche di auto sostenibilità, non è possibile pensare a strutture, Distretti, Laboratori che vivono esclusivamente di risorse pubbliche che ci sono o non ci sono, ma il problema non è che siccome non ci sono devi essere auto sostenibile anche se ce ne fossero devi essere auto sostenibili perché l’aiuto di Stato deve tornare ad essere l’aiuto di Stato vero quello vero, quello addizionale altrimenti la Commissione mi dice che faccio concorrenza sleale. Purtroppo non è sempre interpretato in questo modo quindi chiudo questa predica, ripeto questa giornata è importante perché ci dà l’opportunità di fare queste riflessioni di parlarci e di discutere ognuno da l suo punto di vista, ognuno con il suo contributo perciò abbiamo la possibilità di maneggiare tra virgolette ‘molti soldi’, cerchiamo di farlo nel modo più utile non soltanto più corretto perché farlo nel modo corretto è il minimo sindacale che si chiede mentre farlo in modo utile è molto più complicato poi dipende a chi deve essere utile perché anche su quello si può discutere. Io ringrazio per l’attenzione e vi auguro il miglior proseguimento per la giornata, siamo ovviamente qui a disposizione, c’è spazio per il dibattito e adesso lascio la parola ai miei colleghi. Grazie.